LA FATICA
a cura di Fulvio Massini

In questi giorni di grande caldo, la fatica viene avvertita in modo particolare. L'organismo ora soffre per mantenere la temperatura ad un livello tale da permettere che le normali funzioni si svolgano regolarmente. Insistere a voler cercare di mantenere lo stesso volume e la stessa intensità di allenamento di quando la temperatura è più fresca significherebbe rischiare di andare in overeaching o in overtraining.

Questa volta invece voglio soffermarmi ad analizzare in modo più approfondito alcuni aspetti del fenomeno fatica. La fatica può essere di vario tipo: generale, neuromuscolare, da deplezione del glicogeno, da deplezione delle fibre muscolare ed anche di psicologica.

La fatica generale rappresenta una forma di campanello di allarme; la spossatezza talvolta avvertita rappresenta, molto spesso il preludio a situazioni di fatica più complessi e che riguardano altri aspetti del problema.

La fatica neuromuscolare, può dipendere dalla incapacità di attivare la fibre muscolari. Il fenomeno può dipendere dalla fuoriuscita del potassio nello spazio intracellulare del muscolo permettendo così la diminuzione del potenziale di membrana fino alla metà dei valori riscontrati a riposo. In pratica la fatica rappresenta la incapacità che può essere avvertita nel mantenere la corretta azione tecnica di corsa dopo diversi minuti di corsa. E' infatti noto a tutti che durante gli ultimi km della maratona, ad esempio, chi non è allenato in modo adeguato tende a scomporsi e a non avere più una economica azione di corsa. Il fenomeno può però essere legato anche una inadeguata idratazione che permetta di non avere sufficienti scorte di potassio. Un'azione di corsa scoordinata, antieconomica può essere una delle cause del crampo e della stanchezza muscolare soprattutto nella parte finale della gara.

La fatica da deplezione del glicogeno. Questo tipo di fatica è ben conosciuta da i maratoneti che sbattono contro il muro del 30° km. Infatti una partenza ad andatura troppo elevata può favorire infatti l'esaurimento di questa importantissima fonte di energia. J.Willemore e D.Costil (2006) affermano che nelle corse di velocità il consumo di glicogeno può essere 30-40 volte più rapido che durante il cammino. L'organismo tende ad usare la maggior parte di glicogeno nelle prima parte della prova ovvero nei primi 30-75'. Ecco il motivo per cui una adeguata partenza ed una adeguata gestione tattica della gara può contribuire a far sì che l'organismo si affatichi in modo eccessivo. Le fibre muscolari che tendono per prime ad usare il glicogeno sono appunto le fibre lente. Quando l'intensità diventa più elevata l'organismo va ad usare anche il glicogeno contenuto dapprima nelle fibre veloci di tipo a e poi nelle fibre veloci di tipo b. Interessanti studi riportati sempre da J Willmore e D Costill (2006) dimostrano che il muscolo che consuma più glicogeno correndo in salita discesa e pianura gastrocnemio, muscoli del polpaccio. Altri muscolo presi in considerazione dalla studio sono il soleo che fa sempre parte dei muscoli del polpaccio ed il vasto laterale. Il soleo, muscolo che ha l'85-90% di fibre lente (rosse) e quindi è predisposto alla corsa di resistenza, usa più glicogeno del vasto laterale uno dei muscoli anteriori della coscia. I muscoli della gamba devono essere quindi bel allenati per sopportare lo sforzo prolungato come ad esempio quello della maratona. Una corretta tecnica di corsa, nell'ambito della ottimizzazione del gesto implica una ridistribuzione dell'impegno muscolare atto a far intervenire maggiormente il quadricipite femorale (gruppo di muscoli anteriori della coscia) e quindi anche il vasto laterale con risparmio di glicogeno a livello del gastrocnemio. Queste ultime sono considerazione ed osservazioni empiriche che non ho ancora dimostrato scientificamente. Un importante serbatoi di glicogeno è il fegato che permette che il sangue sia sempre rifornito di glicogeno da trasferire ai muscoli. Quando il fegato finisce le scorte di glicogeno e non riesce più a fornirlo ai muscoli si ha appunto il fenomeno della fatica da esaurimento delle scorte di glicogeno. In fenomeno avviene in genere quando si corre ad una velocità eccessivamente elevata rispetto agli adattamento del muscolo. Ecco la quantità di glicogeno presente : nel muscolo 350-500g (1400-2000 kcal), nel fegato 90-150g (360-600 kcal), nel sangue 20g (80 kcal) La deplezione delle fibre muscolari. Durante l'attività fisica soprattutto se prolungata si manifestano dolori muscolare che impropriamente spesso si pensa siano dovuti ad accumulo di acido lattico. Nella corsa di resistenza si produce poco acido lattico che viene per altro metabolizzato. Meno intenso e più prolungati sono allenamenti e la gara minore è il lattato prodotto. Il dolore avvertito nelle 12- 72 ore dopo la gara è il cosiddetto DOMS ( delayed-onset muscle soreness) ovvero il "dolore muscolare tardivo". Già nel1984, F.C. Hagerman; R.S. Hikida, R.s. Scharon, W.M. Scherman, D.L. Costil: pubblicarono un interessante studio sulla rabdomiolisi, rottura delle fibre muscolari dimostrando, come fosse più evidente dei soggetti poco allenati. Il Doms si presenta quindi come conseguenza di un lavoro eccentrico specialmente se prolungato. Nel nostro caso quindi la corsa e in discesa può essere principale causa di questo tipo di fatica, soprattutto senza adeguata opportuno atteggiamento posturale ed sufficiente allenamento. Anche correre a lungo in pianura può avere lo stesso effetto se fatto senza adeguato allenamento. Tutti noi credo che abbiamo cancellato dalla mente i dolori alle gambe avvertiti dopo i primi km di corsa fatti all'inizio dell'attività podistica.

La fatica psicologica: numerosi studi dimostrano che l'attività fisica porta un aumento della produzione di serotonina che si associa a quello noto di produzione di betaendorfine dette ormoni del benessere. Sembra però che in caso di superallenamento ci sia un abbassamenti del livello di serotonina con conseguente tendenza alla depressione che credo tutti prima o poi abbiano avuto modo di provare dopo allenamenti intensi o prolungati. La famosa svogliatezza è un chiaro segnale che quel giorno o quei giorni è necessario riposare o ridurre l'allenamento. Ascoltando i messaggi del corpo sarà quindi facile continuare a divertirsi correndo modulando anche gli effetti della fatica che è pur sempre un aspetto necessario per il miglioramento delle prestazione. Correre una gara dove c'è pochissima gente può risultare molto più faticoso che correrla dove c'è molta gente; tutti vogliono correre la maratona di N.Y perché l'incitamento delle persone fa sentire meno la fatica. In questo caso (N. Bisciotti 2003) la percezione delle fatica può essere alterata, lo sforzo risultare meno intenso e gravoso proprio a causa delle motivazione generata dalla motivazione esterna, ovvero gli spettatori. Il fenomeno può portare a superare i propri limiti facendo sì che stimoli di fatica della muscolatura o di altri organi non vengano presi in sufficiente considerazione. Quanto descritto succede almeno in parte anche in chi corre con la musica "sparata" direttamente negli orecchi. Forse sono un po' troppo romantico, ma credo che uno degli aspetti belli della corsa sia apprezzare l'ascolto della musica che c'è dentro di noi. Ben vengano folle di persone e la musica ad attenuare la fatica, ma soprattutto nello sport amatoriale, per goderne i benefici e non andare incontro ai fenomeni di overiching o overtraining è consigliabile imparare a gestire la fatica senza ricercare la sofferenza per taluni ritenuta l'unico modo per capire che l'allenamento è efficace.

Buon divertimento

Articolo di FULVIO MASSINI  SITO WEB